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Il 7 luglio scorso si è tenuto a Milano il Digital 360 Awards. È stato un momento importante per capire quanto e come il tema della digital transformation stia prendendo piede nelle aziende.

All’evento eravamo presenti anche noi di Intesys, votati da 50 Chief Information Officer tra i migliori finalisti. In questa occasione abbiamo potuto raccogliere una visione molto chiara di come questo tema, spesso interessante quanto però ancora olistico, sia ancora molto legato alla parte più tangibile, ovvero ad un cambio tecnologico.
Prendiamo a titolo di esempio i fattori caratterizzanti dei progetti: IoT, piattaforma As A Service, servizi trasferiti su mobile, tecnologie touch screen e WiFi. Tutti sono molto legati ad una scelta tecnologica. Ma la digital transformation è sintetizzabile solo in questo?

Per la nostra esperienza no, la digital transformation di un progetto riguarda per il 75% le persone che ne fanno parte e solo il restante 25% consiste nelle scelte tecnologiche da adottare per supportare il salto digitale. Il perché di tali pesi ce lo spiega molto bene una ricerca condotta da Nolan-Norton Italia-Kpmg, che descrive come la situazione italiana risenta molto della crisi degli ultimi anni, portando i buyer a prediligere scelte tecnologicamente a basso impatto economico con una riduzione degli investimenti che potessero coinvolgere anche risorse umane.

Quello che è successo, di fatto, è che soluzioni innovative come cloud, CRM, soluzioni mobile e datacenter, anche quando sono acquisite dall’azienda, talvolta non vengono adeguatamente integrate nel business e nei processi, divenendo cosi delle commodity parcheggiate all’interno di ecosistemi informatici a causa della mancanza finale: il fattore “umano”.

Quello che la ricerca evidenzia anche come il problema maggiore per il rinnovamento digitale delle aziende italiane è, in ultima istanza, l’atteggiamento, altra componente assolutamente non tecnologica. Un atteggiamento che Nolan-Norton Italia-Kpmg descrive proprio come il tipico conservatorismo del “abbiamo sempre fatto così” e del “ma l’ha già fatto qualcun altro?” che porta a valutare positivamente un manager se persegue una strada già scelta anche se non di successo come invece avrebbe potuto essere una “coraggiosa” e disruptive.

In effetti, nei recenti progetti di digital transformation abbiamo affrontato in percentuale sempre maggiore l’impatto nei processi da parte delle persone più che del livello sistemico tecnologico.

Anche da un punto di vista metodologico, abbiamo riscontrato una ottima risposta nel design collaborativo perchè ci ha permesso di mettere in sinergia manager di aree aziendali diverse e che fino a poco tempo non avevano alcun elemento di sovrapposizione nelle attività lavorative di tutti i giorni. Per capirci, anche la realizzazione di un sito o di un portale agenti deve avere come punto di partenza non solo il customer, ma anche le necessità degli stakeholder interni alle aziende.

Insomma, molte delle aziende italiane hanno già al loro interno almeno una componente tecnologica che può abilitare la digital transformation, ma ciò su cui ora le aziende devono lavorare è di fatto abilitare la propria componente umana. Un passaggio non semplice ma che custodisce al suo interno tutto il potenziale competitivo futuro.

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Elisa Nardon

Appassionata di branding e comunicazione, Elisa sviluppa progetti di inbound marketing orientati anche alla crescita dei team aziendali coinvolti nella digitalizzazione dei processi di marketing e business.

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